martedì 29 gennaio 2013

Massimo Bubola, "In alto i cuori"

Massimo Bubola è oggi uno dei migliori cantautori italiani, uno dei pochi, forse l’unico, in grado di fondere con gusto e poesia le sonorità rock e la nostra lingua, due realtà non facili da far convivere. Il nuovo album del musicista veronese, “In alto i cuori”, uscito ancora una volta per la Eccher Music, è il primo negli ultimi cinque anni ed è anche il più bello da “Segreti Trasparenti” del 2004. La struttura delle undici canzoni è tendenzialmente folk-rock con qualche puntata nel blues, mentre i testi prendono spunto da fatti di cronaca, narrano di situazioni reali o  fotografano in maniera lucida e amara al tempo stesso una società sempre più deteriorata. Ascoltate ad esempio “Un paese finto”, critica forte e diretta ad un’Italia in caduta libera all’interno di una bella ballata folk, o l’oscuro blues “Analogico digitale”, scritto a quattro mani con Beppe Grillo, che riflette sul fatto che non sempre le nuove tecnologie sono migliori delle vecchie. “Hanno sparato un angelo” è ispirata a una storia vera, l’uccisione di una bimba cinese di nove mesi in braccio al padre, mentre la title track, “In alto i cuori”, splendida ballata malinconica, è la degna conclusione di un gran bel disco. La dimostrazione che anche da noi si può fare ottima musica.

Giovanni Botti per Vivo

mercoledì 23 gennaio 2013

Bellowhead, "Broadside"

Il folk rock britannico sta attraversando un periodo di ottima popolarità soprattutto sulla scia del successo dei Mumford & Sons. Per questo motivo non devono sorprendere le 60 mila copie vendute da “Hedonism”, il terzo lavoro dei Bellowhead, band della zona di Oxford, miglior risultato della storia di un disco folk indipendente. Etichettato come progressive folk, il gruppo fondato da Jon Boden e John Spiers, già collaboratori di Eliza Carthy, in realtà propone una gamma di sonorità molto più ampia, che va dalle marching band di New Orleans alle orchestre dell’Europa Orientale. Il nuovo album “Broadside”, conferma appieno questa caratteristica. Dodici brani, di cui dieci traditional, di folk-rock altamente creativo, con vecchie ballate marinare e di minatori riprese e rivoltate come calzini. Ascoltate la potente “The old dun cow”, una canzone a metà tra i Jethro Tull di “Warchild” e il Tom Waits di “Heartattack and Vine” con un finale di fiati di grande presa. Oppure la epica e cinematografica “The wife of usher’s well”. O anche la conclusiva “Go my way”, dall’atmosfera rinascimentale alla Steeleye Span, e vi renderete conto della creatività di questi undici musicisti. Da scoprire e ascoltare rigorosamente in cuffia.

Giovanni Botti, per Vivo Modena

Eric Clapton, "Slowhand Deluxe"

Non si può definire “Slowhand” il miglior disco di Eric Clapton, “Layla” e “461 Ocean Boulevard” sono di un’altra categoria. Di certo però è il più famoso e il più venduto.  Uscito nel 1977, l’album divenne presto disco di platino, piazzando tre singoli immortali: “Cocaine”, versione più rock e radiofonica di un pezzo di J.J.Cale, “Wonderful Tonight”, dolce ballata dedicata a Pattie Boyd, ex moglie di George Harrison poi compagna dello stesso Clapton, e “Lay Down Sally”, brillante rock di matrice sudista. L’edizione deluxe, uscita lo scorso dicembre per il 35° anniversario del disco, ce lo ripropone arricchito da quattro brani inediti e con l’aggiunta di un concerto che “Manolenta” tenne nel ‘77 all’Hammersmith di Londra. In questa nuova edizione anche alcuni classici minori dell’album risplendono di luce propria (deliziosa la versione di “May you never” del cantautore John Martin), mentre gli inediti sono davvero interessanti. “Looking at the rain” di Gordon Lightfoot, il traditional “Alberta” e le ballate “Greyhound bus” e ”Stars strays and ashtrays” mostrano ancora una volta le capacità da songwriter del chitarrista inglese. Uno dei rari casi in cui l’edizione deluxe aggiunge davvero qualcosa all’album originale.

Giovanni Botti per Vivo Modena

martedì 16 novembre 2010

Bressan, il portiere Dj


Qualcuno dice che assomiglia fisicamente a Gianni De Biasi, indimenticato allenatore del Modena che fece il doppio salto dalla C alla A, altri lo paragonano esteticamente a Walter Zenga, suo modello da ragazzino. Stiamo parlando di Walter Bressan, portiere di un Sassuolo che sta faticando più del previsto in un campionato che doveva vederlo grande protagonista. “Da bambino mi immedesimavo molto in Zenga - conferma Bressan - era e rimane un personaggio, mai scontato sia da giocatore che da allenatore. Tra i portieri contemporanei mi ispiro molto a Casillas, facendo le debite proporzioni ovviamente”.
Quando e perchè hai iniziato a fare il portiere?
Ho cominciato a sette anni per caso. Facevo la punta come mio padre, che ha giocato a livelli abbastanza importanti soprattutto nel campionato svizzero. Un bel giorno diluviava e si fece male il portiere titolare. A me piaceva sporcarmi e buttarmi nel fango e quindi andai in porta. Da allora non ne sono più uscito.
Dove hai fatto il settore giovanile?
Nella squadra del mio paese, a Ponte di Piave. Un giorno, poco tempo dopo il mio passaggio in porta, mi visionò un osservatore dell’Atalanta e da lì cominciai a fare vari provini, con i neroazzurri ma anche con Milan, Juve e Padova. Alla fine sono passato al Fossalta di Piave, società satellite dell’Atalanta, dove sono rimasto fino ai giovanissimi. Con me c’era anche Dalla Bona. A 13 anni entrambi siamo andati a Bergamo e abbiamo cominciato la nostra avventura sia di vita che di pallone.
E l’esordio nei professionisti?
Nel 2000 in C1 nello Spezia dei record di Mandorlini, in uno Spezia-Lecco. Il titolare Rubini, grande uomo e grande portiere, si fece male ad una costola in allenamento ed entrai io. L’inizio non fu dei migliori perchè presi gol dopo due minuti. Poi però me la cavai molto bene, vincemmo 2-1 e quell’anno feci diverse partite. Lo Spezia sfiorò la promozione in serie B.
Il tuo collega del Modena Alfonso ha detto che, per fare il portiere, bisogna essere un po’ matti. Lo confermi?
Lo confermo e continuo a dirlo anche ai ragazzini. Qualche giorno fa mi è stato chiesto cosa c’è di diverso tra il portiere e il giocatore e la risposta è stata “tutto”. Essere considerati “uno” in una squadra non è facile e un po’ di pazzia ci vuole. Da bambini di solito in porta ci va chi è ciccione o è scarso. Io non ero ne l’uno ne l’altro però evidentemente ero troppo matto e non potevo che fare il portiere.
Il Sassuolo, da quando è in B, è sempre stato ai vertici. Cosa è mancato finora per fare davvero il salto di qualità?
Secondo me bisogna sempre separare sogno e realtà. Il sogno viene dal fatto che questa società è potente e ha un presidente fortissimo, che potrebbe prendere qualsiasi altra squadra nel mondo. La realtà di Sassuolo però non ha storia né tradizione e chi ci sta giocando adesso ha davvero la possibilità di scriverla. La serie A deve però restare un sogno e non un ossessione. Bisogna ricordare cos’era il Sassuolo dieci anni fa e cosa è diventato adesso. In sette anni può capitare una volta di partir male.
Fuori dal campo cosa ti piace fare?
Ho una grande passione per la musica, nata da giovane nelle discoteche di tutta Italia (ride...). Mi sono anche divertito a fare il Dj e a casa ho una consolle sempre pronta con i dischi. Dentro la musica c’è tutto, può essere uno sfogo, ma anche dare serenità, rilassare. Ti mette dell’umore giusto. Ultimamente però riesco a dedicarmici meno. Convivo con la fidanzata e stiamo pensando di prendere una casa grande per metterci anche la consolle, i dischi e tutte queste cose. Una altra mia passione sono gli animali. Ho un cane, un labrador, e passo molto tempo a spasso con lui.

Giovanni Botti per Vivo del 3 Novembre 2010

giovedì 14 ottobre 2010

Professione portiere, intervista ad Enrico Alfonso


Quando si parla di un portiere si è soliti dire che, per fare questo ruolo, bisogna essere un po’ matti. Un luogo comune che però un fondo di verità ce l’ha. In porta non si può sbagliare e al minimo errore si viene castigati esponendosi molto più degli altri alle critiche e agli insulti dei tifosi. “Se rinasco faccio l’attaccante - scherza il numero uno del Modena Enrico Alfonso - se sbagli cinque gol facili, poi segni quello decisivo sei un eroe. Al portiere invece basta un solo errore per essere il protagonista negativo della giornata”.
E’ vero che i portieri sono tutti un po’ matti?
Tanto normali per fare questo ruolo non si è. Ti butti in posti del campo dove nessuno si butterebbe, metti la testa tra le gambe degli avversari, fai uscite alla disperata come la mia di Crotone, stai al freddo. Bisogna essere esuberanti e avere gli attributi.
Altro luogo comune del calcio. Si dice che si comincia a giocare in porta perchè non si è capaci fuori. Tu quando hai iniziato?
A sei anni tentando di emulare mio padre. Giocava centrocampista e a 17 anni era in C nel Valdagno. Poi purtroppo ha mollato, in particolare dopo il divorzio. Io all’inizio giocavo a centrocampo come lui. Però un giorno di pioggia e fango sono andato in porta e ho parato un rigore. Da li ho iniziato la mia trafila da portiere, non senza problemi perchè ogni volta che veniva mio papà agli allenamenti litigava con l’allenatore per farmi giocare a centrocampo. Ero comunque una sorta di jolly perchè, dovunque mi mettevano, me la cavavo bene.
Quale’è stata la tua prima squadra?
L’Alte Ceccato, la squadra del mio paese, una frazione di Montecchio Maggiore vicino a Vicenza. Abito proprio dietro al campo e ancora oggi, quando ho il lunedì libero, vado là a fare qualche corsetta.
Poi la tua carriera dove è proseguita?
Sono andato al Montecchio negli esordienti. Poi, per avvicinarmi a mio padre che viveva a Verona, ho scelto il Chievo. Mi misero sotto contratto a 16 anni, un record per loro conoscendo Sartori, e disputai il mondiale under 17. Per una parola di troppo all’arbitro saltai semifinali e finali. Nell’under 18 ho rimediato il mio primo infortunio alla mano. Sono rientrato in C col Pizzighettone, ma mi sono rifratturato dopo cinque giorni di ritiro. Le due operazioni alla mano le ho subite al Policlinico di Modena. Evidentemente questa città era già nel mio destino.
All’Inter come sei arrivato?
Il Chievo mi ha ceduto in comproprietà, che si rinnova ormai da 3 o 4 anni. Prima di venire a Modena ho giocato a Pisa in B. Mi ero guadagnato il posto da titolare, ma un altro infortunio al polso non mi ha consentito di giocare più di 10 gare.
Come ti trovi a Modena?
Benissimo. Ormai mi sento quasi un vicentino-modenese. Vivo in centro e mi sono fidanzato con una ragazza di qui, Maria Ida. Vorrei rimanere il più possibile.
Cosa ti piace fare al di fuori del calcio?
A Modena ho scoperto la pallavolo. Mi piace andare a vedere le partite di Casa Modena al Palapanini. Sono andato anche a seguire una giornata del mondiale, anche se l’atmosfera che c’è quando giocano i gialloblu è tutt’altra cosa. Per il resto sono un ragazzo normale. Vado poco in discoteca, amo la tranquillità di casa mia, il giro in centro per l’aperitivo o un film in tv. In quest’ultimo anno mi è venuta la passione per la Vespa. Adesso ne ho due e andare in giro in Vespa nelle domeniche di sole con gli amici o la mia ragazza mi da molta soddisfazione.
Il Modena ha creduto in te, nonostante qualcuno storcesse un po’ il naso...
E’ vero, devo ringraziare la società, in particolar modo Fausto Pari. Sono contento di avere di fianco un portiere esperto come Guardalben e di avere per allenatore dei portieri una persona eccezionale come Ferron. Sento che sto facendo bene e spero di migliorare di partita in partita.

Giovanni Botti per Vivo

mercoledì 24 febbraio 2010

Isaac Hayes: Black Moses (Deluxe)


Nel variopinto calderone della musica soul anni ‘60 e ‘70, Isaac Hayes è stato certamente uno dei personaggi più poliedrici. Oltre alla carriera di musicista e cantante infatti, ha portato avanti per anni anche l’attività di attore e doppiatore partecipando a diversi film tra i quali “1997: fuga da New York” di John Carpenter e “Robin Hood, un uomo in calzamaglia” di Mel Brooks. Negli ultimi tempi, prima di morire il 10 agosto del 2008 a 66 anni, era stato anche arrangiatore e produttore lavorando a dischi di successo come l’esordio di Alicia Keys “Songs in A minor”. Punto di forza della Stax tra fine ‘60 e inizi ‘70 Hayes, ha raggiunto il successo soprattutto con la colonna sonora di “Shaft”, film di Gordon Parks uscito nel 1971, grazie alla quale ha conquistato un premio Oscar. Nello stesso anno aveva messo sul mercato anche un’altro album, “Black Moses”, non accolto con lo stesso entusiasmo, ma considerato successivamente uno dei migliori della sua carriera. Dotato di una voce calda e bassissima il musicista del Tennessee è depositario di un soul molto raffinato. Una sorta di “progressive soul” che sta a metà tra il suono stax anni ‘60 e i Temptation dei ‘70, con canzoni spesso lunghissime caratterizzate da una cura maniacale dei particolari. E questo album, riproposto in edizione deluxe con l’aggiunta di un cd in più, è un vero e proprio viaggio verso la terra promessa della black music. Il “Mosè nero” (questo era anche un suo soprannome), ci propone ballate deliziose come l’interminabile “(They long to be) Close to you” scritta da Burt Bacharach, trascinanti funky soul (“Part time love”), brani soul profondi e intrisi di pathos (“Going in Circles”). E tra gli inediti c’è anche una interessante versione di “For the good times” di Kris Kristofferson. Da ascoltare e riascoltare.

Giovanni Botti per Vivo Modena

Catellani, l'anti Empoli


La partita di sabato a Empoli è per il Modena un importante opportunità di riscatto dopo la deludente sconfitta rimediata in casa contro il Grosseto. Una gara sicuramente difficile sul campo di una squadra che in casa non ha mai perso e ha pareggiato solo tre volte in dodici incontri. Chi ha ricordi particolarmente positivi dello stadio Castellani di Empoli è Andrea Catellani che proprio su quel campo segnò lo scorso anno la sua prima rete in serie B. “Fu un gol abbastanza strano - racconta l’attaccante reggiano - lo segnai di testa che non è proprio il mio punto di forza. Ricordo più che altro la corsa verso la panchina anche se le immagini sono un po’ offuscate. Fù davvero una grande emozione”.
L’Empoli comunque ti porta bene...
E’ vero. Oltre al gol dell’anno scorso ho segnato ai toscani anche la doppietta dell’andata. Spero sia di buon auspicio per la partita di sabato.
Andrea parliamo un po’ di te. Quando hai iniziato a giocare a calcio?
A 4 o 5 anni nella scuola calcio della Reggiana. Verso i dieci sono entrato nel settore giovanile granata e lì ho fatto tutta la trafila fino alla prima squadra con la quale ho vinto il campionato di C2. Poi sono venuto a Modena, una città e una società che mi stanno dando tantissimo sia dal punto di vista professionale che umano.
Strano per uno di Reggio cresciuto nella Reggiana...
Naturalmente parli della rivalità tra canarini e granata. Credo che se uno si comporta da professionista può riuscire a farsi voler bene a prescindere dalla provenienza. Penso che Modena e Reggio siano città molto vicine anche come usi e costumi. Io mi sono sentito subito a casa.
Oltre a Modena e Reggiana qual’è la tua squadra del cuore?
Sono sempre stato interista e lo sono ancora. Spero un giorno di riuscire a giocare contro i nerazzurri perchè vorrebbe dire che sono arrivato in A.
Hai sempre giocato attaccante?
Si, a parte forse da piccolino. Sono cresciuto col mito di Roberto Baggio che ho sempre ammirato sia come calciatore che come persona. Poi purtroppo crescendo le caratteristiche tecniche sono diventate diverse.
A Modena hai legato molto con Paolino Ricchi...
Con Paolo è nata un amicizia vera, un rapporto come difficilmente si trova nel calcio e che penso si protrarrà negli anni.
Cosa ti piace fare al di fuori del calcio?
Nel tempo libero mi piace staccare completamente. Il mio hobby preferito è la pesca che pratico non appena ho un minimo di tempo. E’ una fonte naturale di relax perchè ti permette di estraniarti dalla vita quotidiana e di allentare le tensioni.
Tra gli allenatori che hai avuto con chi hai legato meglio?
Ho avuto ottimi rapporti con tutti anche se resto legato in modo particolare ad Alessandro Pane, il tecnico della promozione in C1 con la Reggiana. Lui mi ha insegnato tanto. Poi naturalmente Apolloni col quale si è creato un gran bel rapporto. Non ho mai fatto mistero che uno dei motivi principali per cui ho voluto fortemente tornare a Modena è stato proprio avere Gigi come allenatore. Non è solo un bravo tecnico, ma anche una persona eccezionale.
A Modena sei in prestito. Quale potrà essere il tuo futuro?
Il mio cartellino è del Catania è già quest’anno ho fatto fatica a tornare qui. Credo che il mio prossimo futuro sia lontano da Modena anche se non si sa mai. Di certo resterà il ricordo di un rapporto splendido con città, tifosi e società e se un giorno ce ne sarà l’occasione non esiterò a tornare.

Giovanni Botti per Vivo Modena