giovedì 14 ottobre 2010

Professione portiere, intervista ad Enrico Alfonso


Quando si parla di un portiere si è soliti dire che, per fare questo ruolo, bisogna essere un po’ matti. Un luogo comune che però un fondo di verità ce l’ha. In porta non si può sbagliare e al minimo errore si viene castigati esponendosi molto più degli altri alle critiche e agli insulti dei tifosi. “Se rinasco faccio l’attaccante - scherza il numero uno del Modena Enrico Alfonso - se sbagli cinque gol facili, poi segni quello decisivo sei un eroe. Al portiere invece basta un solo errore per essere il protagonista negativo della giornata”.
E’ vero che i portieri sono tutti un po’ matti?
Tanto normali per fare questo ruolo non si è. Ti butti in posti del campo dove nessuno si butterebbe, metti la testa tra le gambe degli avversari, fai uscite alla disperata come la mia di Crotone, stai al freddo. Bisogna essere esuberanti e avere gli attributi.
Altro luogo comune del calcio. Si dice che si comincia a giocare in porta perchè non si è capaci fuori. Tu quando hai iniziato?
A sei anni tentando di emulare mio padre. Giocava centrocampista e a 17 anni era in C nel Valdagno. Poi purtroppo ha mollato, in particolare dopo il divorzio. Io all’inizio giocavo a centrocampo come lui. Però un giorno di pioggia e fango sono andato in porta e ho parato un rigore. Da li ho iniziato la mia trafila da portiere, non senza problemi perchè ogni volta che veniva mio papà agli allenamenti litigava con l’allenatore per farmi giocare a centrocampo. Ero comunque una sorta di jolly perchè, dovunque mi mettevano, me la cavavo bene.
Quale’è stata la tua prima squadra?
L’Alte Ceccato, la squadra del mio paese, una frazione di Montecchio Maggiore vicino a Vicenza. Abito proprio dietro al campo e ancora oggi, quando ho il lunedì libero, vado là a fare qualche corsetta.
Poi la tua carriera dove è proseguita?
Sono andato al Montecchio negli esordienti. Poi, per avvicinarmi a mio padre che viveva a Verona, ho scelto il Chievo. Mi misero sotto contratto a 16 anni, un record per loro conoscendo Sartori, e disputai il mondiale under 17. Per una parola di troppo all’arbitro saltai semifinali e finali. Nell’under 18 ho rimediato il mio primo infortunio alla mano. Sono rientrato in C col Pizzighettone, ma mi sono rifratturato dopo cinque giorni di ritiro. Le due operazioni alla mano le ho subite al Policlinico di Modena. Evidentemente questa città era già nel mio destino.
All’Inter come sei arrivato?
Il Chievo mi ha ceduto in comproprietà, che si rinnova ormai da 3 o 4 anni. Prima di venire a Modena ho giocato a Pisa in B. Mi ero guadagnato il posto da titolare, ma un altro infortunio al polso non mi ha consentito di giocare più di 10 gare.
Come ti trovi a Modena?
Benissimo. Ormai mi sento quasi un vicentino-modenese. Vivo in centro e mi sono fidanzato con una ragazza di qui, Maria Ida. Vorrei rimanere il più possibile.
Cosa ti piace fare al di fuori del calcio?
A Modena ho scoperto la pallavolo. Mi piace andare a vedere le partite di Casa Modena al Palapanini. Sono andato anche a seguire una giornata del mondiale, anche se l’atmosfera che c’è quando giocano i gialloblu è tutt’altra cosa. Per il resto sono un ragazzo normale. Vado poco in discoteca, amo la tranquillità di casa mia, il giro in centro per l’aperitivo o un film in tv. In quest’ultimo anno mi è venuta la passione per la Vespa. Adesso ne ho due e andare in giro in Vespa nelle domeniche di sole con gli amici o la mia ragazza mi da molta soddisfazione.
Il Modena ha creduto in te, nonostante qualcuno storcesse un po’ il naso...
E’ vero, devo ringraziare la società, in particolar modo Fausto Pari. Sono contento di avere di fianco un portiere esperto come Guardalben e di avere per allenatore dei portieri una persona eccezionale come Ferron. Sento che sto facendo bene e spero di migliorare di partita in partita.

Giovanni Botti per Vivo